Spettacolare mini trekking sulle tre Cime del Bondone – 10 marzo 2005
Il bello del Monte Bondone, oltre ad essere ad un tiro di schioppo da Trento, è che offre una moltitudine di situazioni ambientali davvero invidiabile. Oltre alle piste da sci alpino c’è la fantastica piana delle Viotte col suo centro per lo sci nordico e, lì vicino, le Tre Cime: Cima Verde, Doss D’Abramo, Cornetto, dove gli escursionisti possono sbizzarrirsi con una grande varietà di percorsi. Queste tre cime, tutte ampiamente al di sopra dei duemila metri, offrono un ambiente prettamente alpinistico ad appena mezz’ora d’auto dalla città. Sono tra le mète preferite dai trentini, per la vicinanza al capoluogo ma anche per i fantastici panorami. Le Tre Cime sono collegate da un’aerea cresta, cosicché è possibile fare la traversata completa piuttosto agevolmente, realizzando un percorso ad anello molto interessante in ogni stagione, neve permettendo. Grossi pericoli non ce ne sono, ma ovviamente bisogna sempre tenere conto che siamo in montagna al di sopra dei 2000 metri, quindi bisogna considerare di volta in volta il e soprattutto, nel periodo invernale, il bollettino delle valanghee. La salita al Cornetto lungo la dorsale nord è comunque considerata generalmente sicura. Ma vediamo un po’ meglio le caratteristiche di queste tre montagne.
Cima Verde m 2106
E’ la cima più a est delle tre, un “piramidone” che, a differenza delle altre due cime, non è di calcare dolomitico ma di “scaglia rossa”. Il versante nord è per 3/4 boscoso (da qui il nome “Cima Verde”), il versante sud invece dirupa in un ripidissimo e selvaggio vallone. Gli accessi principali dalla piana delle Viotte sono due: da nord per ripido sentiero nel bosco, da est per panoramico sentiero lungo la cresta. La Cima Verde è anche un percorso sci alpinistico, sia pure piuttosto “rognoso” nella parte boscosa, con boscaglia a tratti fitta e cortine di mughi. Il lato est, più appetibile e sgombro da vegetazione, è però pericoloso per le valanghe. Il versante nord si può fare anche in ciaspole, sia pure coi limiti già detti.
Doss D’Abramo m 2140
E’ la cima più “ostica” delle tre, ma proprio per questo quella che da’ maggiori soddisfazioni: è un tozzo torrione di roccia con una gradevole cima pratosa quasi pianeggiante, ma con pareti pressoché verticali. Vi si accede principalmente con due brevi tratti attrezzati con corde fisse e staffe: uno dal versante ovest per un erto colatoio, l’altro da sud (a fianco della breve ma impegnativa Ferrata Segata), per ripido ma facile canalino attrezzato con due corde fisse parallele. Questa cima è accessibile solo arrampicando, sia pure brevemente, con difficoltà alpinistica di 1° grado, è necessario quindi un minimo di confidenza con la roccia, assenza di vertigini e piè fermo. In inverno sono spesso indispensabili ramponi e piccozza, per salire (e scendere) in sicurezza in presenza di ghiaccio, vetrato, accumuli anche notevoli di neve. Il Doss D’Abramo è contornato alla base da sentieri che permettono di evitare la salita alla cima, tuttavia in inverno sono spesso ghiacciati o ingombri di neve, che li rendono poco raccomandabili per via dei ripidissimi valloni sottostanti. Uno scivolone e si arriva dritti in Val d’Adige 🙂
Cornetto m 2180
E’ la cima più alta e frequentata del gruppo. L’accesso principale dalle Viotte avviene generalmente per la lunga dorsale nord, praticamente priva di difficoltà, salvo un brevissimo traverso mezzo km sotto la cima, che con neve ghiacciata richiede attenzione per la presenza di un costone molto ripido. Il Cornetto è cima prediletta da sci alpinisti e da escursionisti con le ciaspole: spesso si può fare anche a piedi poiché il percorso è piuttosto frequentato e c’è quasi sempre, a meno di nevicate recenti e abbondanti, una buona traccia battuta fino alla cima. Alla base del Cornetto si possono osservare trinceramenti e fortificazioni risalenti alla Grande Guerra. Sulla cresta tra Cornetto e Doss D’Abramo è presente, unica in tutta la zona, una sorgente perenne, con fontana.
Descrizione
Questa bellissima e panoramica traversata (a cui abbiamo già accennato in precedenza in un percorso estivo) ha il pregio di richiedere un impegno fisico abbastanza modesto: il dislivello non è severo, solo 600 metri, e anche lo sviluppo di circa 10 km permette di compiere questa escursione con tutta calma nell’arco di una giornata. Il percorso è facile e assai intuitivo, basta un colpo d’occhio dal punto di partenza per capire subito l’itinerario di salita e quello di discesa. Noi proponiamo questo giro in senso antiorario, ma nessuno vieta di fare il contrario. Sul Doss D’Abramo, la cima di mezzo, si può fare una fantastica siesta stesi sul bel praticello in vetta, ammirando il panorama da un balcone naturale (attenzione alle pareti che precipitano a picco) a sbalzo sulla valle. Tutto il percorso presenta una varietà di panorami davvero eccezionale, a cavallo della Valle dei Laghi e la Val D’Adige: dai placidi pascoli a bassa quota delle Viotte, alla facile arrampicata sul calcare dolomitico e poi alla bella discesa nel bosco, con vedute sempre nuove e sorprendenti. Il tratto centrale intorno al Doss D’Abramo richiede una certa attenzione: meglio magari se affrontato con un cordino di sicurezza e relativi moschettoni. Chi non vuole impegnarsi nella traversata completa può limitarsi a salire il Cornetto o, in alternativa, la Cima Verde, due mete che ben si prestano alle ciaspole.
Percorso
Si parte dalla fantastica piana delle Viotte e si punta in direzione (stradina battuta dal Centro del Fondo) della Costa dei Cavai, ovvero la lunga dorsale nord del Cornetto, che è la cima più a ovest delle tre. Non si può sbagliare, basta seguire la bella dorsale che conduce praticamente fino sotto la vetta, che si rimonta facilmente con qualche zig zag per la ripida parete ovest, con croce in vetta. Panorama grandioso a dir poco, con splendida vista sulle Dolomiti di Brenta. Si va quindi all’attacco del Doss D’Abramo: si scende alla base del Cornetto e si prende la dorsale in direzione est che cala all’ampia insellatura (sorgente con fontana) tra le due cime. Attenzione all’eventuale presenza di cornici di neve. Giunti sotto la parete est del Doss D’Abramo (attenzione a non scivolare che si vola di sotto!) ci si infila nel ripido colatoio, il cui salto di roccia, di circa 10 metri, si supera facilmente aiutandosi con la corda fissa in acciaio ed alcune provvidenziali staffe. Appena superato il salto prestare attenzione poiché il tratto successivo in inverno è quello più insidioso, perché può essere ghiacciato o con grossi accumuli di neve (ramponi e piccozza). Scivolare in questo punto può essere una pessima idea poiché ci si infilerebbe dritti nel colatoio. Ci si porta quindi con prudenza al saltino di roccia soprastante che si supera senza difficoltà. E’ quasi fatta, mancano solo pochi metri: si risale con attenzione l’erta finale, portandosi fuori dalla linea di massima pendenza, tenendosi sulla sinistra del ripido pendio fino alla vetta. Qui c’è la piacevole sorpresa della cima pianeggiante, dove si può tirare il fiato dopo il brivido della salita arrampicatoria, ammirare il grandioso panorama ed eventualmente fermarsi a mangiare o riposare.Ora tocca alla Cima Verde: ci si dirige, senza raggiungerla, verso la grande croce di vetta in ferro (attenzione zona carsica con buchi profondi tra i mughi e la roccia). Raggiunta una piccola selletta si cerca tra i mughi l’imbocco del canalino sul versante sud, con corda fissa bene in evidenza. Attenzione a non infilare per errore la verticalissima ferrata Segata! (segnata da un cartello). Si cala facilmente, con prudenza, per il breve ma erto canalino di circa 20-30 metri, aiutandosi con le corde fisse. Giunti alla base, si svolta a sinistra (nord) per un altro breve tratto delicato, lungo una cengia orizzontale attrezzata con corda fissa. Sono solo un centinaio di metri ma da percorrere con prudenza per via del salto di roccia sottostante. Un passo falso e si vola di sotto. Se c’è ghiaccio, obbligatori i ramponi e il cordino. Aggirato finalmente il Doss D’Abramo, possiamo prendere la breve dorsale che cala una decina di metri verso la cresta che risale poi dolcemente verso Cima Verde.Il percorso è facile a zig zag tra i mughi ma, essendo a ridosso della cresta, bisogna prestare attenzione ai soliti ripidissimi costoni sottostanti. Un punto delicato in caso di neve è appena sotto Cima verde, dove si deve fare un breve traverso sul fianco ovest assai ripido: se c’è neve troppo dura o ghiacciata i ramponi sono una manna. Ancora pochi metri e si sbuca finalmente sulla panoramicissima vetta, da cui si domina tutta la grande piana delle Viotte e la Val D’Adige. Inizia la discesa, ormai senza più pericoli, ma bisogna tenere l’attenzione desta per non “infognarsi” nei mughi. Si punta perciò dritti verso nord lungo la dorsale che scende rapidamente verso il bosco. Se c’è la traccia siete a posto, altrimenti bisognerà barcamenarsi tra mughi piuttosto ostinati, badando bene comunque a non abbandonare la dorsale. Si scende gradualmente, cercando i segni del sentiero, per bosco rado che diventa boscaglia, anche fitta, man mano che ci abbassa di quota, fino a raggiungere il sentiero in valle n 636, che rientra alle Viotte per belle spianate.
Ciaspole e ramponi
Le ciaspole moderne sono dotate generalmente di ramponcini (chiodi) che permettono una buona progressione su nevi dure o ghiacciate, sia in salita che in discesa. Le ciaspole però diventano assai scomode, per non dire inutilizzabili, nei traversi, o su pendii molto ripidi, per non parlare del “misto” roccia-ghiaccio. In tutte queste situazioni l’attrezzo ideale è rappresentato dai ramponi, che di solito si usano insieme alla piccozza. Dovendo scegliere, è comunque di gran lunga preferibile un buon paio di ramponi, in quanto essi offrono una sensazione di sicurezza impagabile su tutte le nevi “difficili”, sulle quali la piccozza può garantire un ancoraggio e soprattutto una progressione piuttosto precaria. Talvolta basta un banale strato di ghiaccio o vetrato, anche su pendii modesti, per rischiare una pericolosa caduta. Coi ramponi ci si muove in sicurezza anche su percorsi “impossibili” con i normali scarponi da montagna. Ovviamente anche i ramponi non sono esenti da svantaggi: sono scomodi da mettere (anche se i modelli semi automatici hanno risolto in parte il problema), e soprattutto bisogna camminare in modo non proprio naturale “a gambe larghe” e con una certa attenzione. Le punte sono infatti affilate e l’incidente più classico è l’inciampo con l’infilzamento, dolorosissimo, del rampone nel polpaccio. Tuttavia con un minimo di precauzione i ramponi in certe situazioni sono indispensabili e insostituibili. Esistono principalmente tre modelli, generalmente a 12 punte (quelli a 10 sono ormai in disuso): il vecchio tipo a lacci, molto “brigoso” da indossare ma col pregio di adattarsi a qualsiasi scarpone; il modello automatico che richiede uno scarpone rigido, con degli appositi inviti in punta e sul calcagno, e quello semiautomatico che è una via di mezzo tra il vecchio e nuovo. In linea di massima i ramponi automatici sono usati su scarponi di plastica rigidi, mentre i ramponi flessibili coi cinghietti sono adatti agli scarponi o pedule in pelle. Esistono inoltre i “mezzi ramponi” o ramponcini per escursionismo, a 4 o 6 punte, utilizzati principalmente per attraversare nevai o affrontare situazioni di emergenza, quindi modelli specialistici di varia foggia riservati a chi fa alpinismo “serio” ad alto livello, o arrampicate su ghiaccio o cascate con modelli a 14 punte. Per l’escursionista medio che utilizza saltuariamente i ramponi, va bene un rampone generico a 12 punte che si adatti facilmente allo scarpone che utilizza maggiormente in montagna. Eventualmente si possono tenere dei ramponcelli nello zaino, meno ingombranti, per le emergenze, o come precauzione se si pensa di incontrare neve sul percorso. È molto importante che il rampone sia perfettamente regolato sullo scarpone: controllare la regolazione, il serraggio delle eventuali viti e il sistema di allacciatura PRIMA di partire per una gita. Queste banali operazioni possono diventare un dramma angoscioso alle 5 di mattina, al freddo e al buio fuori da un rifugio. Un rampone che si sgancia nel bel mezzo di una arrampicata, magari su un’erta parete di neve ghiacciata, può essere davvero un’esperienza poco simpatica. Le allacciature classiche con cinghie devono essere nuovamente regolate e rinserrate dopo qualche decina di minuti di marcia, come si faceva ai “vecchi tempi”. Tutti i ramponi possono essere soggetti alla formazione di zoccolo di neve: questo inconveniente assai fastidioso (che dipende essenzialmente dal grado di umidità della neve) può diventare un reale pericolo rendendo instabile, pesante e scivoloso il passo. La soluzione è una speciale piastra antizoccolo, l’antibott. Non esitate a montarlo, è un fattore di sicurezza ulteriore. Molto opportuna infine la protezione coi “gommini” sulle lame affilate.
testi e foto di
Alessandro Ghezzer
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