10 Luglio 2020
di: Alessio Migazzi
Chi ha la fortuna di conoscere e frequentare Annibale Salsa senza dubbio apprezza la sua dedizione alla “causa” alpina, sia essa intesa come salvaguardia ambientale sia come questione antropologica.
Parliamo ad esempio del modello di convivenza uomo e ambiente, fatto di grandi compromessi e grandi contraddizioni, tra le quali ad esempio:
– combattere la disoccupazione ma salvaguardando l’ambiente;
– garantire il popolamento dei centri anche più piccoli ma nel rispetto dell’urbanistica;
– mantenere attivi piccoli negozi rurali ma rimanendo competitivi sul mercato;
– garantire a chi vive la montagna servizi sanitari e generici adeguati ma rispettando la spending review;
– oppure, più in generale, vivere la montagna garantendo ai propri figli le stesse opportunità che ha chi vive in città.
Una contraddizione quest’ultima più forte delle altre perché le raccoglie tutte e tocca direttamente i nostri figli proponendo nel terzo millennio questioni a dir poco medievali: sei nato qui e per te sarà tutto più difficile.
Per fortuna la montagna crea i limiti ma dà anche gli strumenti per superarli e non c’è da stupirsi se il principale strumento è di natura caratteriale. Scarpe grosse, tenacia da vendere e cervello fino.
Tornando a quei pochi punti elencati poc’anzi, che sono solo la punta di un iceberg ben più complesso, è da notare che se fossero domande la risposta sarebbe una sola: impossibile.
Per fortuna la dialettica insegna che non esistono soltanto risposte lapidarie ma che i concetti possono essere presi da lontano, approfonditi, contestualizzati, possono essere investiti di una base storica ed infine risolti o quantomeno catalogati come tali lasciando ai posteri ed a futuri strumenti eventuali nuove interpretazioni. Nel mezzo c’è la politica che esercita il proprio ruolo e propone soluzioni più o meno efficaci.
“E’ giunto il momento di chiedersi quali possano essere il montanaro e le Alpi di domani” e Annibale lo fa partendo dal passato, dal molto prima del mito delle Alpi e della conquista delle vette ad opera dei valorosi scalatori britannici. Parte dal passato per arrivare al presente, al post modernismo e all’auspicata riscoperta della lentezza.
Nel farlo smentisce le mie paure e le mie domande e infine “si scopre che il grado di istruzione delle terre alte era spesso così elevato che la montagna imprestava i precettori alla pianura, si scopre che i montanari seppero viaggiare, negoziare e imparare dalle città importando nelle valli visioni e saperi.”
Si scopre che “le Alpi non sono barriere ma cerniere tra popolazioni europee” ma si constata anche l’esasperazione della cultura e dell’identità alpina, se mai è esistita, che da storia diventa folclore a portata di telecamera.
Si capisce che l’identità è una cosa seria almeno quanto lo è la complessità di regole e consuetudini che regolano il rapporto uomo e ambiente, si scopre anche il romanticismo ottimista di chi vede nella vita alpina una risposta ai mali della società post moderna e si apprezza il culto di prendersi cura dell’ambiente come via per prendersi cura di sé stessi.
Il tramonto delle identità tradizionali. Spaesamento e disagio esistenziale nelle Alpi di Annibale Salsa è un libro prezioso, poco conosciuto ma da tenere sul comodino specie per chi ambisce a dare un proprio contributo all’economia ed alla politica dei territori di montagna.