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Attività:

scalinata dei larici monumentali

  • Difficoltá
  • Durata:
    ore
  • Lunghezza
    km
  • Dislivello
    m
  • Altitudine Massima
    m slm

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Escursione nel Parco dello Stelvio: i giganti vegetali in Val di Rabbi – 30/10/2004

Nella puntata dedicata alla Val di Rabbi e al Parco dello Stelvio del 31 luglio 2004 ci eravamo arrivati vicini, ma poi per mancanza di tempo avevamo dovuto desistere dal vedere la celebre Scalinata dei Larici Monumentali. Ma era rimasta nei nostri obiettivi futuri, e così è stato: alla prima occasione, in una splendida domenica d’autunno, siamo tornati in Val di Rabbi.

L’idea e il progetto di questo meraviglioso percorso naturalistico si deve a Marcello Mazzucchi e Sergio Camin. Con Mazzucchi, che è un dirigente del Servizio Foreste di Cavalese, abbiamo già realizzato diverse precedenti puntate di Girovagando, ed abbiamo potuto apprezzare non solo la sua grande competenza ma anche la sua passione per la natura e per il bosco. Passione che lo ha portato a realizzare delle iniziative didattiche di grande interesse, una di queste riguarda gli Alberi monumentali della Val di Fiemme, ai quali abbiamo dedicato un approfondimento sul nostro sito.

La scalinata dei larici monumentali in Val di Rabbi

Una delle intuizioni più felici di Mazzucchi, insieme a Sergio Camin, riguarda appunto la realizzazione della Scalinata dei larici monumentali in Val di Rabbi. In una delle zone più belle del Parco Nazionale dello Stelvio, su uno scosceso versante a circa 2000 metri di quota che delimita il Prà di Saènt, furono “scoperti” 23 larici giganteschi, cresciuti in modo stupefacente tra i sassi di un macereto. L’eccezionalità di questo luogo sta nel fatto che a queste quote gli alberi, di norma, sviluppano dimensioni piuttosto ridotte. Qui invece le circonferenze del tronco vanno dai 3 ai 6 metri, con altezze fino a 40 metri, l’età da 300 a 500 anni! Sistemando il percorso con i sassi e le pietre del posto è stato realizzato un itinerario con 700 scalini che collega tutti i larici monumentali. Ai piedi di ogni albero è stata apposta una tabella esplicativa, in cui Mazzucchi descrive la vita e la crescita di ogni larice, con le sue strategie di sopravvivenza. Le forme singolari assunte negli anni dai tronchi, dai rami e dalle chiome, parlano delle tante vicissitudini passate e raccontano storie secolari, fedelmente registrate negli anelli del tronco, studiati con una tecnica scientifica denominata dendrocronologia. Essa rivela una vera e propria cronaca del tempo, con l’andamento delle stagioni e la “registrazione” degli eventi climatici.

“Grande Piede”

Ogni albero monumentale ha un nome che ne rispecchia le singole peculiarità e che offre un approccio emozionale immediato con questi giganti verdi della montagna: Due Vite, il Lares del Giulio, Grande Piede, il Tempio, il Solitario, il Dinosauro… Ecco, ad esempio, la descrizione che Mazzucchi fa di “Grande Piede”, un larice di 300 anni con un tronco enorme alla base di quasi 6 metri di circonferenza: “E’ nato in mezzo ad un canalone poco sotto la parete rocciosa, questo larice, e chissà quante pietre gli sono capitate addosso nel corso degli anni. La sua parte più vulnerabile non poteva perciò essere che il piede, il suo tallone come quello del mitico Achille. E così lo ha ingrossato a dismisura, ad ogni botta un po’ di più, in modo da assicurarsi un sostegno sicuro anche se il tronco è ormai in buona parte marcio e ospita sul lato a monte una bella colonia di funghi bianchi che vivono sul legno che decompongono. Non è molto alto questo larice, poco più di venti metri. Ma si capisce, lui le migliori cure le ha riservate al suo piede. Quello sì che è diventato grande!

Il larice

E’ originario dell’Europa Centrale (monti Sudeti e Carpazi) e delle Alpi, dove arriva sino al limite superiore della vegetazione arborea. Trova le migliori condizioni di vegetazione nelle zone ben illuminate, con terreno fresco e sciolto, clima asciutto e continentale. L’areale si estende in Europa centrale fino ai Carpazi, in Italia è spontaneo sulle Alpi tra 800 e 2600 di quota: vegeta su tutto l’arco alpino, più frequente nel settore occidentale, raggiungendo anche i 40 metri di altezza. I maggiori popolamenti si trovano in Piemonte e in Trentino Alto Adige. E’ una specie tipica dei climi continentali, resiste al vento ma teme le gelate tardive; forma boschi puri (lariceti) o si associa con le altre conifere come il Peccio (abete) e il Cirmo (Pino cembro). E’ pioniera e colonizzatrice di terreni denudati, indifferente alla natura chimica del terreno basta che sia fertile, sciolto e profondo. Il fusto, nelle alte quote e in pendii ripidi, è talvolta incurvato alla base per effetto della spinta della neve. Il larice ha una grande importanza selvicolturale, per i rimboschimenti in montagna, per la paesaggistica e per la produzione di legno molto pregiato, di grande resistenza e lunga durata. Un tempo le travature dei tetti delle baite erano quasi sempre di larice. E’ impiegato in edilizia e in falegnameria, per la costruzione di mobili e molti altri usi. Dal tronco si estrae un’ottima trementina (vedi Girovagando 22 maggio 2004), una pratica oggi caduta in disuso. Il legno migliore è fornito dalle piante di alta montagna in quanto è a più lento accrescimento, quindi più compatto. Il tronco è unico e quasi sempre perfettamente dritto; la corteccia, fessurata da numerose screpolature verticali, all’interno è di colore rosso. I rami principali sono più o meno orizzontali, i rametti secondari sono lunghi, sottili e penduli. Le foglie (aghi) sono caduche (è l’unica conifera che perde gli aghi), addensate in fascetti di 20-40 e più aghi lineari (2-4 cm.) sottili, di un colore verde chiaro che diventano color giallo dorato in autunno. I fiori sono sono maschili e femminili: i primi sono portati da coni lunghi pochi millimetri, i secondi sono inseriti in piccole pigne rossastre.

SCALINATA DEI LARICI MONUMENTALI Valle di Saènt – Val
di Rabbi
quota massima m 2100
lunghezza km.10
dislivello m 700 circa
partenza e arrivo parcheggio loc. Ramoni m 1380
sentieri 106
difficoltà E – escursionisti
tempo 1/2a giornata
mappa (420 k) Tabacco 43

 

L’escursione

Siamo nell’angolo nord occidentale del Trentino in Val di Rabbi (laterale della Val di Sole, che si dirama da Malé), nella piccola valle alpina che si insinua verso il gruppo montuoso dell’Ortles-Cevedale: è la bellissima Val di Saènt, nota soprattutto per le spumeggianti cascate (cascate del Saènt) del torrente Rabbies, che da sole varrebbero “la pena” di un’escursione. In località Ramoni al Còler (1380 m) si lascia l’auto all’ampio parcheggio. I più pigri possono proseguire per la strada fino a Malga Stablasol (1539 m, circa 30 minuti di cammino), oppure con il bus-navetta messo a disposizione dall’ente Parco (solo nel periodo turistico). Noi preferiamo prendere subito la ripida deviazione che sale sulla sinistra orografica del torrente Rabbies, a est del rifugio Fontanino. Questa breve salita ci permette di rimontare il poco dislivello (circa 100-150 metri), e raggiungere la soprastante strada forestale, che poi diventa un bellissimo sentiero che procede in costa, per sbucare a valle della Malga Stablet (1580 m) e quindi al ponte da dove parte il sentiero vero e proprio che porta alle cascate. In pochi tornanti si giunge quindi alle spumeggianti cascate che con due salti precipitano con fragore in una stretta gola rocciosa. Si rimonta un promontorio roccioso e si raggiunge in breve il Rifugio del Dosso della Croce (o Saènt) a 1800 metri, che si affaccia sul meraviglioso e pianeggiante Pra di Saènt. E’ una visione idilliaca: una grande radura con un torrentello dalle anse sinuose, dove tra lo scampanìo di mucche e cavalli al pascolo risuonano i fischi di allarme delle marmotte disturbate da qualche escursionista. In pochi minuti si scende nella piana e si raggiunge Malga Saènt m1778, da dove parte “la scalinata”. Una grande tabella illustra il percorso, che si sviluppa per meno di 1 chilometro e mezzo, con un dislivello di 200 metri scarsi.

Il percorso, fermandosi a leggere con calma tutte le tabelle dei 23 alberi monumentali, dura circa 1 ora e mezza, e si conclude in località Malga Vècia (chi volesse prolungare la gita può inoltrarsi fino al rifugio Dorigoni m 2436), dalla quale si rientra per il medesimo percorso dell’andata, con l’eventuale variante che scende, anziché dalle cascate, per segnavia 106 a Malga Stablet, quindi per forestale a Malga Stablasolo e poi fino al parcheggio.

testi e foto di
Alessandro Ghezzer
(Agh)

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