Nel grandioso scenario delle Pale di S. Martino – 12 novembre 2004
Novembre potrebbe sembrare un mese poco propizio per le escursioni e invece no.E’ un mese di transizione verso l’inverno che riserva spesso sorprese ed emozioni: i colori ancora accesi dell’autunno, le prime nevicate, la luce radente del sole basso sull’orizzonte, danno ai paesaggi un fascino del tutto particolare. La montagna è bella anche per questo: si presenta sempre in modo diverso, al variare delle condizioni meteorologiche e del ciclo delle stagioni. Qui in Trentino la neve sui monti in quota è già arrivata fin dal 15 ottobre, e poi a più riprese successivamente. L’ultima due giorni fa, altri 40 cm in quota. In questa puntata proponiamo una salita classica, buona in ogni stagione, da fare a piedi, con gli sci o con le ciaspole: Cima Juribrutto, vicino a Passo Valles, al confine fra Trentino e Veneto lungo la strada che attraversando il Parco di Paneveggio – Pale di S. Martino collega la Valle di Fiemme a Falcade.
Descrizione
Forse meno nota della classicissima Cima Bocche poco più a ovest, anche Cima Juribrutto gode di un panorama a dir poco fantastico, probabilmente uno dei più belli delle intere Dolomiti. La salita, che risale lungamente un ampio e facile spallone, non presenta nessuna difficoltà: solo in caso di nebbia si possono incontrare seri problemi di orientamento, che possono diventare anche pericolosi poiché i fianchi della montagna sono assai dirupati, mentre la cima è a precipizio sui tre lati, escluso quello sud. Queste cime, come l’intero fronte del Lagorai, furono teatro di aspri combattimenti durante la Grande Guerra. In tutta la zona sono ancora ben evidenti le caverne, le trincee, i resti di baraccamenti di questo terribile campo di battaglia, in cui si combatté ininterrottamente estate e inverno dal maggio del 1915 al novembre del 1917. Una splendida panoramica delle cime la possiamo vedere nella puntata dedicata alla escursione “storica” sulla Cavallazza. Per gli appassionati di storia bellica segnaliamo anche l’escursione sul Piccolo Colbricon. Cima Juribrutto e cima Bocche, morfologicamente, si somigliano molto e sono entrambe due classiche dello sci-alpinismo, con neve quasi sempre abbastanza sicura poiché le pendenze, salendo i due spalloni principali, sono modeste. Anche per gli sci-escursionisti con gli “sciotti” (gli sci “stretti” da fondo o da escursionismo), per i quali sono sufficienti appena 20-30 cm di neve, questa cima è una vera pacchia, perché gli ampi spazi aperti permettono facili “zig-zagoni” in discesa. Le foto di questa puntata si riferiscono ad una delle ultime gite sci-escursionistiche dell’anno scorso: pur essendo a fine maggio, in quota c’erano ancora circa 2 metri abbondanti di neve.
L’itinerario
Il percorso proposto è ad anello, ed è lungo circa 9 km. Si parte da Malga Vallazza m 1935, presso Passo Valles. Una mulattiera militare, con segnavia 631, risale facilmente con vari tornantini una valletta con un bel bosco rado di larici e cirmoli. Dopo un centinaio di metri di dislivello, superato il limite della vegetazione ad alto fusto, il paesaggio si apre quasi di colpo in tutta la sua maestosità. Basta voltarsi verso sud per restare subito a bocca aperta: lo spettacolo grandioso delle Pale di S. Martino appare in tutto il suo splendore. Calziamo gli sciotti entusiasti e rimontiamo facilmente a zig zag, su percorso libero poiché il sentiero non si vede più sotto la neve, la dorsale che ci porterà direttamente in vetta. Man mano che ci si alza di quota il paesaggio cambia in continuazione, facendosi sempre più vasto. A quota 2339 siamo sulla dorsale principale, con la vista che spazia lontano sull’orizzonte: a sud ovest vediamo il nostro amato Lagorai, con la sua lunga catena di silenziose montagne innevate: a sud le imponenti cime delle Pale di S. Martino, poi Passo Valles, Passo Rolle, a nord le Dolomiti con il Catinaccio,, il Sassolungo, il Sella, a nord est il Gran Vernel, la Marmolada, ad est Antelao, le Tofane, il Monte Cristallo, il Civetta, il Monte Pelmo. Con gli sciotti saliamo veloci e leggeri: con ampi zig zag saliamo rapidamente di quota seguendo sempre la dorsale e traversando dei bei costoni panoramici. A 2640 metri raggiungiamo l’anticima, quindi superando un piccolo anfiteatro traversiamo verso nord ovest fino alla pianeggiante cima, quasi un trampolino nel vuoto (attenzione al precipizio a nord!). E’ senza dubbio, come si può vedere nella foto panoramica qui sotto (anche in versione scaricabile e ingrandita 900 k file autoeseguibile, oppure con legenda cime) di uno dei più straordinari balconi naturali sulle Dolomiti.
La discesa
In cima il panorama è superbo ma c’è un vento maligno: scendiamo un po’ di quota per trovare un posto riparato per mangiare. Dopo esserci adeguatamente rifocillati iniziamo quindi la discesa. Come di consueto teniamo le pelli sotto agli sci, un accorgimento lungamente collaudato che ci permette un’agevole “discesa frenata” senza pigliare velocità incontrollabili. Scendiamo per la dorsale coi soliti lunghi e divertenti traversoni: la neve è a tratti infida poiché sprofonda a tradimento. Ma da vecchie volpi dello sci escursionismo non ci facciamo fregare facilmente: avanziamo il più possibile lo sci a monte, in modo da “tastare” in anticipo la consistenza del manto, pronti come ghepardi a variare istantaneamente il peso sullo sci. Nonostante questo, non possiamo esimerci da qualche pregevole “pelle di leone” nella neve fradicia. E’ il bello e il brivido dello sci escursionismo, ogni discesa una sfida: riuscire a stare in piedi a tutti i costi. Scendere coi talloni bloccati e gli scarponi, come fanno gli sci alpinisti, sono capaci tutti: ma è col “tallone libero” che si vede la stoffa dell’escursionista, del ravanatore, insomma il vero “sci creativo”, quello che ciascuno s’inventa sul momento pur di restare in piedi. Si vedono cose che farebbero inorridire un maestro di sci: mulinamenti forsennati di braccia, “sbilancioni” avanti e indietro, sforbiciate fantozziane, tuffi, giravolte, contorsioni, fino alla valanga umana col solito groviglio inestricabile di sci, zaino e bastoni. Comunque la tecnica è ormai collaudata, e anche semplice: si osserva il pendio con attenzione e si traccia idealmente un traversone con pendenza di 20-30° massimo. La zona di arrivo deve essere sgombra di ostacoli in modo che ci possa arrestare con facilità, magari sterzando leggermente verso monte. A quel punto ci si molla a valle col solito urlo. I più bravi riescono a disegnare i traversoni esattamente dove li hanno immaginati e a fermarsi senza sforzo, per inerzia. I meno bravi partono convinti di andare da una parte e finiscono invece da un’altra: talvolta per non prendere una velocità folle sono costretti a mettere giù il sedere o a fermarsi con un inglorioso “pelle di leone”. Con questa tecnica (traversoni combinati con robusti dietro-front da fermi) si può scendere praticamente (quasi) ovunque. Caliamo esattamente fino a quota 2300 (viva l’altimetro!), quindi svoltiamo verso ovest in direzione del Lago di Juribrutto, che incontriamo ancora tutto ghiacciato. Scendiamo ancora con traversoni fin dentro la valletta del Rio Juribrutto che si incassa parecchio. Costeggiamo, non senza qualche difficoltà per timore di finire in acqua, il rio, quindi proseguiamo a piedi poiché la neve finisce. Scendiamo ancora fino alla bella Malga Juribrutto m 1912. Di qui prendiamo il comodo e pianeggiante sentiero 623, che in circa 2 km scarsi ci riporta a Malga Vallazza, dove abbiamo l’auto.
testi e foto di
Alessandro Ghezzer